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       DOCUMENTI Lo storico Robert Katz apre il suo archivio sui dossier 
        dell' ex diplomatico Usa: da Mancini a Macaluso, da Zaccagnini a Pisanu 
         
      La famiglia Moro e il ricatto Br
       Nei rapporti segreti dell' ambasciatore Gardner ipotizzati dubbi 
        dei parenti sullo scambio  
      Inviò il telegramma pochi minuti dopo l' agguato di via 
        Fani: «Il leader della Democrazia cristiana Aldo Moro è stato rapito stamattina 
        a Roma da un gruppo armato. Secondo le prime notizie tutte le cinque guardie 
        del corpo sono state uccise o ferite. Il fatto è accaduto meno di un' 
        ora prima che Andreotti presentasse il programma del suo nuovo governo 
        in Parlamento. Riferirò ulteriori dettagli appena ne sarò in possesso. 
        Firmato: Gardner». 
         Era il 16 marzo 1978. Da quel momento l'ambasciatore 
        degli Stati Uniti in Italia, Richard Gardner, trasmise decine di telegrammi 
        a Washington per descrivere e commentare l' evoluzione della crisi seguita 
        all' attacco sferrato dalle Brigate rosse contro la Dc e il suo presidente. 
        Un occhio americano molto vigile sul caso Moro svelato dai documenti custoditi 
        nell' archivio di un altro americano a Roma in quella stagione di piombo, 
        il giornalista e scrittore Robert Katz, che li ha ricevuti quando già 
        aveva pubblicato il suo libro I giorni dell' ira sul rapimento e l' omicidio 
        del leader democristiano. A quasi trent' anni di distanza, Katz definisce 
        quella corrispondenza una sorta di hidden agenda degli Stati Uniti sul 
        sequestro, «l' agenda nascosta confezionata per fornire elementi utili 
        al rifiuto di ogni trattativa con le Brigate rosse».  
        Al di là dei giudizi, i telegrammi sono la fotografia forse un po' sfocata 
        di un Paese piegato dal terrorismo e attraversato dalle tensioni politiche 
        provocate dalla crisi più grave della sua storia repubblicana, scattata 
        per il governo di Washington preoccupato dalle possibili conseguenze in 
        casa dell' alleato italiano. Le prime attenzioni sono rivolte al comportamento 
        della sinistra dopo l' agguato di via Fani, e il 17 marzo l' ambasciatore 
        scrive: «È forse significativo che non abbia ritirato l' appoggio al nuovo 
        governo Andreotti precedentemente negoziato, chiedendo un "gabinetto di 
        emergenza" che includesse ad esempio dei comunisti nei ministeri... È 
        presto per dire se la reazione pubblica (all' attentato brigatista, ndr) 
        lavorerà a favore o contro la sinistra, ma il Pci sta tentando di evitare 
        conseguenze negative mostrandosi tra i più decisi nelle espressioni di 
        offesa e indignazione».  
        Cinque giorni dopo, il governo vara un decreto legge con nuove misure 
        antiterrorismo, ma sulla possibilità delle forze dell' ordine di liberare 
        Moro il commento di Gardner è quasi sconfortato: «Date le circostanze, 
        le forze di sicurezza devono affidarsi alla speranza di un colpo di fortuna». 
        Naturalmente il rappresentante di Washington a Roma segue con grande attenzione 
        le reazioni del mondo politico, tanto più quelle che possono riguardare 
        gli Stati Uniti. Così, il 25 marzo riferisce di «speculazioni su un possibile 
        coinvolgimento della Cia nel rapimento Moro diffuse dall' ex segretario 
        del Partito socialista Giacomo Mancini e dal membro della direzione del 
        Partito comunista italiano Emanuele Macaluso». Ad aumentare le preoccupazioni 
        americane arrivano, a partire dal 29 marzo, le lettere dell' ostaggio 
        dalla «prigione del popolo».  
        Dopo il primo messaggio al ministro dell' Interno Francesco Cossiga, Gardner 
        scrive: «C' è una generale depressione (nel senso di sconforto, ndr) sul 
        linguaggio che i suoi carcerieri lo obbligano a usare. Hanno messo Moro 
        nell' umiliante posizione di chiedere ai suoi colleghi di valutare l' 
        idea di scambiarlo con dei brigatisti in prigione, senza che gli stessi 
        rapitori lo domandino direttamente. Infatti nei tre comunicati delle Br 
        non si parla di ipotesi di scambio». L' ambasciatore riferisce che i partiti 
        di governo sono fermi nel respingere ogni ipotesi di trattativa coi terroristi, 
        e garantisce che «il Vaticano (menzionato nella prima lettera di Moro, 
        ndr) non è intenzionato a svolgere un ruolo attivo senza una richiesta 
        del governo italiano». Poi aggiunge: «Da fonte legata alla famiglia di 
        Moro capiamo che la famiglia stessa si oppone all' idea di uno scambio... 
        Essi non credono che Moro stesso vorrebbe essere scambiato in circostanze 
        che sarebbero umilianti».  
      Peccato che non sia vero. Ad aprile l' ambasciatore comunica 
        che in una nuova lettera l' ostaggio «ripete la sua richiesta di uno scambio 
        di prigionieri in un patetico appello alle coscienze dei suoi colleghi». 
        Ma poi rassicura: «Sebbene indubbiamente scossi e demoralizzati dalla 
        lettera, i capi della Dc hanno emesso un comunicato per riaffermare il 
        no al negoziato e aggiungendo che la stessa lettera di Moro dimostra chiaramente 
        che "non è a lui moralmente attribuibile"». In altri messaggi Gardner 
        insiste su questo concetto, sull' unità democristiana e di tutti i partiti 
        che appoggiano il governo intorno alla linea della fermezza. Finché a 
        fine aprile non è costretto a comunicare la posizione differenziata del 
        Psi guidato da Bettino Craxi. 
        Il 4 maggio riporta le critiche democristiane all' apertura socialista 
        verso una trattativa e riferisce: «In una conversazione con l' ambasciatore 
        richiesta dal segretario della Dc Zaccagnini, il capo della sua segreteria 
        politica Pisanu ha sottolineato l' unanimità della Dc e la fermezza nel 
        rifiutare ogni concessione ai brigatisti. Pisanu ha definito la proposta 
        di Craxi un serio errore che ha isolato politicamente il Psi, in aggiunta 
        alla già complicata gestione del caso Moro. Per prevenire serie crepe 
        nella maggioranza di governo la Dc ha avuto difficoltà a evitare la proposta 
        di Craxi salvando la faccia e senza rigettarla brutalmente... Pisanu ha 
        aggiunto che, nonostante non ci fosse bisogno di un ulteriore dibattito 
        nel partito, è d' accordo a convocare la direzione per affrontare ogni 
        possibile critica, come quella della famiglia Moro che ha chiesto una 
        sessione del Consiglio nazionale». La direzione democristiana si riunisce 
        il 9 maggio, proprio mentre le Brigate rosse consegnano il cadavere di 
        Moro in via Caetani. L' ambasciatore si affretta a scrivere a Washington: 
        «Una fonte del ministro dell' Interno conferma che il corpo trovato in 
        una macchina parcheggiata nel centro di Roma vicino alle sedi della Dc 
        e del Pci è quello di Aldo Moro. Il corpo era avvolto da una coperta nel 
        bagagliaio dell' auto. Per il momento non sono disponibili altri dettagli. 
        Firmato: Gardner».  
       
	LA SMENTITA
       Guerzoni: moglie e figli favorevoli 
        alla trattativa   
      «Che la famiglia Moro fosse contraria a uno scambio del 
        presidente con chicchessia è una cosa che non è mai esistita». È categorico 
        Corrado Guerzoni, portavoce di Moro quando il leader della Dc fu rapito 
        e tra i pochissimi ammessi, durante il sequestro, nell' appartamento romano 
        dove la moglie Eleonora e i figli - in particolare Agnese e Giovanni, 
        che ancora abitavano in quella casa - vissero in attesa della buona notizia 
        che non arrivò mai. 
      «Evidentemente Gardner ebbe un' informazione falsa, da 
        fonte inattendibile», continua Guerzoni, che ricorda bene l' arrivo della 
        prima lettera di Moro, il 29 marzo 1978: «Fin da allora il presidente 
        ipotizzò lo scambio e fin da allora la famiglia tentò di muoversi in quella 
        direzione. Era l' unica via percorribile, e non avrebbe avuto senso ritenerla 
        umiliante o "indecente". Quindi è impossibile che dalla famiglia sia venuta 
        quell' indicazione».  
      Nelle loro ricostruzioni i parenti non hanno mai posto 
        il problema delle condizioni per giungere alla liberazione di Moro. «Eravamo 
        consapevoli - disse il figlio Giovanni alla commissione stragi nel marzo 
        ' 99 - che se non si fosse aperta una trattativa nei termini in cui si 
        poteva porre, e contestualmente non si fosse trovato l' ostaggio, si era 
        scelto di lasciarlo morire... Micidiale fu la congiunzione del rifiuto 
        di trattare con la mancanza di efficacia nel trovarlo».  
       
      L' archivio 
       Centomila pagine di storia italiana Mille volumi, documenti 
        raccolti in quasi centomila pagine, 120 audiocassette con interviste registrate, 
        sceneggiature e una folta corrispondenza privata. Di tutto questo si compone 
        l' archivio privato che Robert Katz ha deciso di donare al Comune di Pergine 
        Valdarno, nei pressi di Arezzo, dove lo scrittore abita da circa un trentennio; 
        l' organizzazione è curata da Linda Giuva, docente di Archivistica all' 
        università di Siena. Katz ha 74 anni e vive in Italia da quaranta: è autore 
        di diversi libri di successo, dedicati soprattutto alle vicende dell' 
        occupazione nazista di Roma. 
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       These stories were written by Corriere 
        della Sera political journalist Giovanni Bianconi 
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    L'autore del testo è Giovanni Bianconi. Il giornalista 
        ha appena pubblicato il suo libro sul Caso Moro: Eseguendo la sentenza 
        (Einaudi, 2008,) 
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